UVA DI TROIA

Descrizione

Il nome di questo importante vitigno pugliese deriva da una località della Daunia (FG), anche se a Troia, come si leggerà oltre, non pare esso fosse coltivato intensamente come lo era a Canosa di Puglia, da cui il sinonimo forse un tempo più popolare di Vitigno di Canosa, o semplicemente Vitigno. Quello che appare più che probabile è l’origine pugliese dell’Uva di Troia, considerando che deriva dall’incrocio spontaneo tra Bombino bianco e Quagliano (alias Bouteillan) (Lacombe et al., 2013), incrocio che ha dato origine ad altri vitigni tipici della Puglia, come Bombino nero (Bergamini et al., 2016) e Impigno (Cipriani et al., 2010). L’uva di Troia è anche stata individuata come Uva nocella nei vigneti storici del Gargano.

Notizie storiche

Dalle fonti storiche si evince che questa cultivar fosse nota e diffusa in Terra di Bari con la denominazione Uva di Troja fin dall’inizio del XIX secolo (Ricchioni, 1942). Altri sinonimi storici, talvolta ancora in uso, sono, come già accennato, Vitigno di Canosa (Perelli, 1874; Frojo, 1875) o Uva di Canosa (Di Rovasenda, 1887; Frojo, 1879; Ampelografia Italiana, 1882) ed altri di più incerta attribuzione: Uva Tranese (nel Gallipolino), Nero di Barletta, Uva della Marina (Fonseca, 1892a). Il nome di Uva nocella con cui è stata recuperata nel corso di questo progetto nel Gargano è storicamente riportato per il territorio di Apricena (FG) e per alcuni comuni del Subappennino (De Angelis, 1885), ma non disponendo di descrizioni dell’Uva nocella storica non si può escludere che questo nome indicasse un’altra cultivar. Peraltro, nello stesso areale, l’Uva di Troia era nota con il nome errato di Somarello (Vitagliano, 1985), che ben sappiamo essere una cultivar del tutto diversa, spesso soltanto consociata all’Uva di Troia nel nord Barese. Alcune piante di Uva di Troia sono state da noi individuate proprio nell’omonimo comune, con il nome di Summariello, sinonimo riportato anche da altri studiosi in Campania (Costantini et al., 2005).

Le prime descrizioni dell’Uva di Troia si devono a Giuseppe Frojo (1875) e Domenico Frojo (1879). Qualche anno dopo si dedica spazio a questa cultivar anche nell’Ampelografia Italiana (1882), in cui si ipotizza che il nome derivi dall’omonimo paese del Subappennino Dauno; altri riportano che fosse credenza diffusa ritenere i Greci responsabili della sua introduzione in Puglia (Musci, 1933). Entrambe le ipotesi restano speculazioni, anche se si può affermare con ragionevole certezza, come già accennato, che l’Uva di Troia discenda dal Bombino bianco (Lacombe et al., 2013), vitigno in passato parecchio coltivato nella Puglia settentrionale e che, a seguito della richiesta commerciale di vini rossi da taglio di colore intenso ed elevata alcoolicità, sul volgere del Novecento cedette il passo proprio alla coltivazione dell’Uva di Troia (Carlucci, 1905).

Descrizione morfologica

Germoglio: apice sottile, cotonoso, bianco verdastro, privo di colorazione rosa dei peli, ma con estremità un po’ rosse. Foglioline apicali a coppa, bianche leggermente dorate o ramate, inferiormente cotonose. Quarta fogliolina piana o a margini revoluti, verde con leggera sfumatura ramata o bronzata, lanuginosa inferiormente.

Tralcio erbaceo: piuttosto sottile, poco ricurvo nella parte apicale, con portamento decisamente eretto e internodi medio-corti, striato di rosso o interamente rosso sul lato dorsale, verde striato di rosso su quello ventrale e con nodi rossi. Viticci corti e sottili, rossi.

Foglia: piccola, nettamente pentagonale, pentalobata. Lembo poco bolloso, con profilo un poco a coppa. Seno peziolare a lira con fondo ad U e bordi poco sovrapposti, spesso sguarnito da uno o da entrambi i lati e talora con nervature saldate alla base; seni laterali a lira con fondo ampio. Nervature verdi o appena rosate alla base. Denti minuti, a margini rettilinei. Pagina inferiore aracnoidea, con nervature mediamente setolose, sia le principali (lateralmente) che le distali. Picciolo medio-corto, un po’ striato di rosso.

Grappolo: piccolo o medio-piccolo, di forma conica un po’ irregolare, mediamente compatto (lunghezza media 16,0 cm; larghezza media 9,0 cm). Peduncolo corto, robusto; rachide robusto, verde o rosato e pedicelli con cercine grosso.

Acino: medio-grande, sferico (Ø long. 16,6 mm; Ø equat.16,6 mm; Ø long./ Ø equat. 1,0). Buccia di colore blu-nero con sfumatura violetta, abbastanza spessa ed un po’ tannica, ma non sgradevole. Polpa carnosa, dolce, un po’ carente di acidità, abbastanza gradevole. Vinaccioli molto piccoli e con becco corto.

Diffusione, coltura e utilizzazione in Puglia

L’Uva di Troia costituiva a fine ‘800 dal 60 al 90% dei vigneti nei territori di Andria, Barletta e Canosa di Puglia, mentre era coltivata secondariamente nei territori limitrofi del nord Barese (Corato, Bisceglie, Trani, Molfetta, Ruvo di Puglia) e in minor misura in altri comuni della stessa provincia (Gandi, 1873; Perelli 1874; Frojo, 1879). La sua coltivazione era importante anche nel Foggiano e in Capitanata (Di Rovasenda, 1887; Fonseca 1892a), sebbene solo del circondario di Barletta questa cultivar era considerata la “sovrana assoluta” (Frojo e Cettura, 1877-85). Alla diffusione capillare di questo vitigno contribuirono la produttività e la resistenza alle avversità climatiche, maggiore rispetto ad altre varietà coltivate localmente, oltre alla crescente richiesta di vini neri da taglio da parte dei mercati stranieri e dell’Italia settentrionale (Frojo, 1879; Ampelografia Italiana, 1882). Le uve di Uva di Troia erano anche richieste per il consumo diretto sui mercati di Germania, Austria e Svizzera (Carrante, 1929) ed era usanza dei commercianti Biscegliesi abbellire le cassette o gabbiette di Baresana destinata ai mercati esteri con grappoli di Uva di Troia (Musci, 1933), come si faceva con il Somarello rosso. Durante i primi decenni del XX secolo l’Uva di Troia costituiva il vitigno principale del territorio che da Andria e Barletta si estendeva verso nord-ovest fino a Cerignola ed Ortanova, e in minor misura a Lucera (FG) e in altri comuni del Barese (Musci, 1933).Oggi la sua coltivazione interessa 1.960 ha in tutta la regione, di cui 836 in provincia di Bari, 707 nella BAT, poco più di 407 nel Foggiano, circa 7 nel Tarantino, 2 nel Brindisino e meno di 1 nel Leccese. Il Bisceglia nel 1809 sosteneva che il vino di Uva di Troia fosse mediocre (Ricchioni, 1942), mentre altri ne riportano il colore intenso, la tannicità e l’elevata alcolicità (Gandi, 1873; Perelli, 1874), ma anche la scarsa dotazione di acidità (Musci, 1933; Spataro, 1928). Per questo si riteneva che vinificata in purezza non fornisse vino di alta qualità, ma in unione al Somarello nero o a varietà di maggiore acidità poteva dar vita a ottimi vini da pasto (Ampelografia Italiana, 1882; Frojo, 1883). Negli ultimi decenni i progressi in ambito enologico hanno permesso di ottenere dall’Uva di Troia vini mono-varietali di pregio. Attualmente è destinata alla vinificazione in rosso e da pochi anni utilizzata anche per la produzione di vini rosati, sia fermi che spumanti. È varietà idonea e consigliata in tutta la regione. Rientra nelle DOP Barletta, Castel del Monte, San Severo, Cacc’e Mmitte di Lucera, Rosso di Cerignola, Tavoliere delle Puglie e nelle DOCG Castel del Monte Nero di Troia Riserva e Castel del Monte Rosso Riserva. È inserita inoltre in tutte le sei IGP regionali: Daunia, Murgia, Puglia, Salento, Tarantino, Valle d’Itria.

Caratteristiche vegeto-produttive e tecnologiche (medie triennali in collezione)

Germogliamento: prima decade di aprile

Fioritura: ultima decade di maggio

Invaiatura: seconda decade di agosto

Maturazione dell’uva: ultima decade di settembre

Fasi fenologiche corrispondenti a quelle della varietà Sangiovese tranne che per l’invaiatura che risulta più precoce.

Habitus vegeto-produttivo: portamento eretto

Fertilità reale: 1,4

Peso medio del grappolo (g): 183

Peso medio dell’acino (g): 2,70

Caratteristiche del vino sperimentale:  il vino presenta un colore rosso rubino con riflessi aranciati, buon corpo ed elevato grado alcolico, mentre contenuta appare l’acidità fissa. Nel complesso, comunque, è un vino abbastanza armonico ed equilibrato, con sapore neutro.